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Herbarium

Camomilla

È una pianta erbacea, annua, aromatica, glabra, alta fino a 50 cm. I fiori sono raccolti in capolini, con il disco centrale costituito da fiorellini tubulosi gialli e la raggiera esterna da fiori bianchi. Il nome italiano, camomilla, deriva dal latino chamomilla, a sua volta adattamento del greco khamaìmelon (dall’avverbio chàmai, “a terra”, e per estensione “piccolo” e da melon, mela, cioè: “piccola mela”). Cresce spontaneamente in Europa, Asia, America settentrionale ed Australia, ma viene anche facilmente coltivata; nelle regioni temperate europee fiorisce da maggio a settembre. La parte della pianta utilizzata per tingere sono i capolini, contenenti flavonoidi. La camomilla è una delle piante più utilizzate in cosmesi, poiché tutti i suoi derivati sono perfettamente tollerati a livello cutaneo senza limiti di dosaggio. È impiegata in particolare come emolliente e lenitiva. 
Dioscoride la consigliava alle donne partorienti per la sua influenza benefica sulla muscolatura dell’utero: funzione ricordata dal suo nome botanico matricaria, che deriva dal latino matrix, utero, o da mater, madre. L’infuso di camomilla è da sempre consigliato nella tradizione popolare come risciacquo per eliminare il grigio dai capelli sbiaditi e ridonare lucentezza ai capelli biondi. Il reale risultato che si ottiene utilizzando questa pianta da sola, però, è molto blando. L’utilizzo in miscela con altre polveri di erbe tintorie (ad esempio rabarbaro o hennè) riesce a dare risultati soddisfacenti, soprattutto in presenza di biondi venati di bianco, meches e colpi di sole, ottenendo copertura dei capelli bianchi e riflessature naturali.

Campeggio

È un grande albero, alto fino a 15 m, con il tronco rossastro ed i rami spinosi, originario della Baia di Campeche in Messico, ma molto diffuso in tutto il continente americano. Il suo legno fu introdotto in Europa dagli Spagnoli dopo la scoperta dell’America con il nome di “palo campecho”, e, dato il grande successo commerciale, si cercò di coltivarlo in grandi piantagioni coloniali anche in altre parti del mondo. Per tingere i tessuti si usava il legno scortecciato, rosso-bruno-violaceo, ridotto a pezzetti. In ambiente acido il bagno di colore vira al giallo-arancio, mentre in presenza di alcali diventa rosso-violetto, e bruno-nero per successiva ossidazione all’aria. Questo legno, a partire dal XVIII secolo, ha avuto un’importanza economica enorme ed ha resistito alla concorrenza dei coloranti chimici fino a dopo la prima guerra mondiale. Il segreto di questo successo è da ricercare nella messa a punto di particolari sistemi di colorazione che permettevano di ottenere col campeggio colori neri di sfumature diverse (neri-rossastri, neri-verdastri, neri-blu) estremamente solidi, soprattutto sulla lana. Questo traguardo tecnico fu raggiunto proprio nel periodo storico della Riforma in Europa e dell’avvento del Puritanesimo, caratterizzato da una borghesia emergente e bisognosa di distinguersi moralmente anche nel modo di vestirsi, per cui sia gli uomini che le donne usavano spesso il nero. La richiesta di tessuti neri fu quindi grandissima e durò per tutto il XIX secolo.
L’utilizzo della polvere del legno di campeggio per dare riflesso ai capelli si è rivelato un vero e proprio unicum. In miscela con altre erbe (Miscela Mallo di noce, Hennè Rosso, Hennè Nero) assume sui fondi castani delle note castano-ramate, se alcalinizzaa la pastella vira sul viola.

Henné

Il nome scientifico dell’henné è Lawsonia inermis. Il termine Lawsonia deriva dal medico inglese John Lawson che, nel 1709, descrisse in maniera particolareggiata questa pianta, mentre il termine inermis si riferisce al fatto che è priva di spine. Originaria delle regioni calde subtropicali e degli altipiani dell’Africa centro-orientale, questa pianta è coltivata oggi soprattutto in India, Iran, Tunisia, Egitto, Sudan e Arabia. 
Il suo uso è molto antico, perfino nelle tombe dei faraoni egizi sono state ritrovate polveri ricavate dalle sue foglie e mummie con le unghie colorate con henné. Nell’industria tessile l’henné è stato adoperato con successo nella colorazione di molte fibre, ma oggi è utilizzato soprattutto come tintura naturale per capelli. L’hennè lucida i capelli bruni, dona tonalità rosso mogano a quelli castani, rende i biondi scuri ramati e regala nuance carota sui biondi chiari o bianchi. Il principio più importante isolato dalle foglie della pianta è il lawsone, un naftochinone che si lega alla cheratina, la proteina di capelli, unghie e pelle, colorando queste strutture attraverso la formazione di legami di tipo elettrostatico. 
L’henné, al contrario delle tinture chimiche, non penetra all’interno del capello, ma si deposita e lega sulle squame della sua cuticola. Si ha così un effetto definito “sostantivante”, cioè il diametro del capello aumenta leggermente e la capigliatura risulta più voluminosa e resistente. 
Henné si scrive con l’accento acuto. In Italia il termine viene spesso riportato con l’accento grave ma, a onor del vero, il termine antico “henna” diviene henné in Europa con la lingua francese, riportando quindi l’accento acuto sulla “e” → é.

Indigofera

Il genere Indigofera, appartenente alla famiglia delle Fabacee, conta circa trecento specie, originarie in particolar modo dell’India, della Cina e dell’isola di Giava. Quella più utilizzate per tingere è l’Indigofera tinctoria L. Il nome con cui viene spesso chiamata la pianta è indaco, dal latino indicum, cioè indiano, con chiaro riferimento al paese di origine, l’India. Tuttavia, è divenuto uso comune il termine Indigo o Hennè Nero. L’impiego dell’indigo nella colorazione delle fibre naturali ha origini antichissime: i nostri antenati europei del Neolitico conoscevano già questa tintura dei toni bluastri. Mentre in Egitto durante il periodo dei faraoni il colore blu si ricavava dal guado (Isatis tinctoria). Tale arte tintoria si diffuse poi in Grecia e in Italia, dove i Romani svilupparono intensamente la coltura dell’Isatis tinctoria. È interessante il fatto che già presso i Greci e i Romani era noto che nei paesi dell’Estremo Oriente esisteva una tintura blu molto potente: l’indicum o indikon, chiamato anche blu delle indie o indaco. La cosa sorprendente, sconosciuta a quei tempi, è che le due tinture, indaco e guado, benché ricavate da piante diverse, permettevano di ottenere lo stesso principio tintorio, l’indaco o indigotina. Nel corso del XVII secolo, con l’introduzione dell’Indigofera, l’industria del guado entrò in crisi perché l’indigo si dimostrò essere economicamente più conveniente. 
La polvere di Indigofera è ampiamente utilizzata per la colorazione dei capelli al fine di ottenere tonalità scure o brune. L’utilizzo dell’hennè nero su capelli castano scuro o bruni porta gradualmente a toni color melanzana, ottenendo così un effetto scurente e brillante sull’intera capigliatura. In presenza di molti capelli bianchi essi tenderanno ad assumere riflessi verdi-azzurri poco gradevoli. Per evitare lo spiacevole riflesso verde-bluastro è caldamente consigliato il doppio passaggio: 

  • una prima applicazione di hennè rosso (per circa 30 minuti), per garantire una pre-mordenzatura dei bianchi indirizzandoli verso toni ramati;
  • una seconda applicazione successiva di hennè nero.

Mallo di Noce

Oriundo dell’Asia occidentale e forse anche della Grecia settentrionale, il noce è un albero alto dai 10 ai 25 m, largamente diffuso e coltivato in tutta l’Europa centrale e meridionale sin dall’antichità. Il frutto ha un mesocarpo verde, il mallo, e un endocarpo legnoso, il guscio. Il nome Juglans regia risale all’antica Roma ed è legato alle parole Jupiter e Jovis, cioè a Giove, il padre degli Dei, e alla sua regalità nei confronti di tutte le altre divinità. Nei secoli XVI e XVII il frutto, a causa della sua forma interna simile a quella di un cervello, assunse grande importanza come rimedio medicinale tra i seguaci della “Dottrina dei segni”. Il noce è anche una pianta tradizionalmente usata per tingere, e le parti che sono utilizzate per questo scopo sono il mallo e le foglie. Il potere tintorio si deve allo juglone che si trova in proporzioni variabili in tutta la pianta. La tintura di lana, seta e cotone con il mallo riusciva a conferire a queste fibre una colorazione molto resistente, ma richiedeva un procedimento lungo e laborioso. I malli verdi venivano posti a fermentare in poca acqua anche per un anno, fino ad ottenere un bagno di colore bruno. Poi, nel mallo fermentato, filtrato ed opportunamente diluito, venivano tinte le fibre per un’ora a 80°C. In questo modo era possibile ottenere varie tonalità di marrone. 
L’applicazione per circa un’ora di una pastella di polvere di mallo di noce e acqua calda conferisce alla lana un colore marrone chiaro, mentre al capello riesce a dare solo una debole riflessatura. La miscela della polvere di mallo di noce con quelle di hennè rosso e hennè nero porta a colorazioni giallo-brunite, la cui applicazione ripetuta nel tempo porta a tonalità castagna o castano/brune a seconda del colore di fondo e della percentuale di bianchi presenti.

Rabarbaro

Il rabarbaro cinese o Rheum officinale è originario della Cina e del Tibet, cresce allo stato spontaneo ma, visto il largo uso, viene soprattutto coltivato. Il suo aspetto è simile a quello del nostro rabarbaro rapontico, o Rheum rhaponticum, anch’esso originario dell’Asia centrale. Di entrambe le specie si utilizza il rizoma, che viene prelevato in primavera o autunno da piante di 6-10 anni. 
Con le foglie si ottengono gialli mediamente resistenti, mentre con il rizoma si hanno arancioni più o meno scuri, solidi alla luce e al lavaggio. I rabarbari sono la principale fonte di tinture gialle e arancio utilizzate per colorare tessuti e tappeti in Tibet. La polvere della radice di rabarbaro cinese è in grado di tingere anche i capelli e dona a quelli biondi e castano chiari riflessi dorati intensi. Poiché le sue capacità tintorie sono notevoli, è consigliabile utilizzarlo in miscela con altre piante anche non coloranti, capaci invece di donare morbidezza e lucentezza al capello. La Miscela Camomilla studiata per i toni chiari/biondi è ottenuta aggiungendo al rabarbaro le polveri di camomilla, cassia obovata, ed anche una piccola quantità di hennè rosso. Dona una sfumatura naturale ai capelli biondi e può portare a un riflesso, più o meno deciso, sia su capelli biondo scuri che castano chiari; si utilizza su meches o colpi di sole ormai opachi, ottenendo delle ottime nuances naturali e rivitalizzando le tonalità dorate.

Robbia

Il nome latino di questa pianta significa “rosso dei tintori” e rimanda immediatamente all’utilizzo che un tempo di essa veniva fatto come colorante. È una pianta perenne, sempreverde, che può raggiungere un metro di altezza e che cresce spontaneamente in tutto l’Oriente. La parte utilizzata a scopo tintorio è la radice. Oggi questa pianta non è quasi più usata per tingere, ma le sue radici si trovano ancora nei mercati orientali e sono utilizzate come materiale per lavori artigianali. La radice di robbia contiene numerosi pigmenti, il più importante dei quali è l’alizarina. Il colore che si ottiene è un rosso ruggine, la cui intensità dipende da diversi fattori: dalla concentrazione del bagno, dalla durata dell’immersione della fibra da colorare, dall’invecchiamento della radice e dal suo contenuto di tannini. I rossi storicamente più famosi sono quelli che gli artigiani orientali riuscivano ad ottenere sul cotone, chiamati rosso turco e rosso delle Indie, il cui segreto stava nel lungo trattamento cui il tessuto veniva sottoposto prima della tintura, per fargli assorbire il massimo del principio colorante. La robbia, conosciuta fin dai tempi più remoti, è stata ritrovata sulle bende di lino nelle tombe della valle del Nilo, ed è nominata nelle scritture sumere e nella Bibbia. Era nota e apprezzata in tutto l’Oriente, dove l’India detenne fino al XVII secolo il monopolio mondiale per la tintura del cotone con questa pianta. L’utilizzo della polvere di Robbia Tintoria per colorare i capelli è poco noto, ma i risultati ottenibili possono essere esaltanti; soprattutto se i trattamenti riflessanti sono indirizzati verso capelli castano-chiari, biondi, biondo-scuri, anche con colpi di sole ormai senza vivacità. La sua tonalità rosa-albicocca, in opportuna miscelazione con erbe dal pigmento giallo e con il ramato dell’hennè, dona alle capigliature sopra descritte nuances dai riflessi “cognac”.

Camomilla

È una pianta erbacea, annua, aromatica, glabra, alta fino a 50 cm. I fiori sono raccolti in capolini, con il disco centrale costituito da fiorellini tubulosi gialli e la raggiera esterna da fiori bianchi. Il nome italiano, camomilla, deriva dal latino chamomilla, a sua volta adattamento del greco khamaìmelon (dall’avverbio chàmai, “a terra”, e per estensione “piccolo” e da melon, mela, cioè: “piccola mela”). Cresce spontaneamente in Europa, Asia, America settentrionale ed Australia, ma viene anche facilmente coltivata; nelle regioni temperate europee fiorisce da maggio a settembre. La parte della pianta utilizzata per tingere sono i capolini, contenenti flavonoidi. La camomilla è una delle piante più utilizzate in cosmesi, poiché tutti i suoi derivati sono perfettamente tollerati a livello cutaneo senza limiti di dosaggio. È impiegata in particolare come emolliente e lenitiva. 
Dioscoride la consigliava alle donne partorienti per la sua influenza benefica sulla muscolatura dell’utero: funzione ricordata dal suo nome botanico matricaria, che deriva dal latino matrix, utero, o da mater, madre. L’infuso di camomilla è da sempre consigliato nella tradizione popolare come risciacquo per eliminare il grigio dai capelli sbiaditi e ridonare lucentezza ai capelli biondi. Il reale risultato che si ottiene utilizzando questa pianta da sola, però, è molto blando. L’utilizzo in miscela con altre polveri di erbe tintorie (ad esempio rabarbaro o hennè) riesce a dare risultati soddisfacenti, soprattutto in presenza di biondi venati di bianco, meches e colpi di sole, ottenendo copertura dei capelli bianchi e riflessature naturali.

Campeggio

È un grande albero, alto fino a 15 m, con il tronco rossastro ed i rami spinosi, originario della Baia di Campeche in Messico, ma molto diffuso in tutto il continente americano. Il suo legno fu introdotto in Europa dagli Spagnoli dopo la scoperta dell’America con il nome di “palo campecho”, e, dato il grande successo commerciale, si cercò di coltivarlo in grandi piantagioni coloniali anche in altre parti del mondo. Per tingere i tessuti si usava il legno scortecciato, rosso-bruno-violaceo, ridotto a pezzetti. In ambiente acido il bagno di colore vira al giallo-arancio, mentre in presenza di alcali diventa rosso-violetto, e bruno-nero per successiva ossidazione all’aria. Questo legno, a partire dal XVIII secolo, ha avuto un’importanza economica enorme ed ha resistito alla concorrenza dei coloranti chimici fino a dopo la prima guerra mondiale. Il segreto di questo successo è da ricercare nella messa a punto di particolari sistemi di colorazione che permettevano di ottenere col campeggio colori neri di sfumature diverse (neri-rossastri, neri-verdastri, neri-blu) estremamente solidi, soprattutto sulla lana. Questo traguardo tecnico fu raggiunto proprio nel periodo storico della Riforma in Europa e dell’avvento del Puritanesimo, caratterizzato da una borghesia emergente e bisognosa di distinguersi moralmente anche nel modo di vestirsi, per cui sia gli uomini che le donne usavano spesso il nero. La richiesta di tessuti neri fu quindi grandissima e durò per tutto il XIX secolo.
L’utilizzo della polvere del legno di campeggio per dare riflesso ai capelli si è rivelato un vero e proprio unicum. In miscela con altre erbe (Miscela Mallo di noce, Hennè Rosso, Hennè Nero) assume sui fondi castani delle note castano-ramate, se alcalinizzaa la pastella vira sul viola.

Henné

Il nome scientifico dell’henné è Lawsonia inermis. Il termine Lawsonia deriva dal medico inglese John Lawson che, nel 1709, descrisse in maniera particolareggiata questa pianta, mentre il termine inermis si riferisce al fatto che è priva di spine. Originaria delle regioni calde subtropicali e degli altipiani dell’Africa centro-orientale, questa pianta è coltivata oggi soprattutto in India, Iran, Tunisia, Egitto, Sudan e Arabia. 
Il suo uso è molto antico, perfino nelle tombe dei faraoni egizi sono state ritrovate polveri ricavate dalle sue foglie e mummie con le unghie colorate con henné. Nell’industria tessile l’henné è stato adoperato con successo nella colorazione di molte fibre, ma oggi è utilizzato soprattutto come tintura naturale per capelli. L’hennè lucida i capelli bruni, dona tonalità rosso mogano a quelli castani, rende i biondi scuri ramati e regala nuance carota sui biondi chiari o bianchi. Il principio più importante isolato dalle foglie della pianta è il lawsone, un naftochinone che si lega alla cheratina, la proteina di capelli, unghie e pelle, colorando queste strutture attraverso la formazione di legami di tipo elettrostatico. 
L’henné, al contrario delle tinture chimiche, non penetra all’interno del capello, ma si deposita e lega sulle squame della sua cuticola. Si ha così un effetto definito “sostantivante”, cioè il diametro del capello aumenta leggermente e la capigliatura risulta più voluminosa e resistente. 
Henné si scrive con l’accento acuto. In Italia il termine viene spesso riportato con l’accento grave ma, a onor del vero, il termine antico “henna” diviene henné in Europa con la lingua francese, riportando quindi l’accento acuto sulla “e” → é.

Indigofera

Il genere Indigofera, appartenente alla famiglia delle Fabacee, conta circa trecento specie, originarie in particolar modo dell’India, della Cina e dell’isola di Giava. Quella più utilizzate per tingere è l’Indigofera tinctoria L. Il nome con cui viene spesso chiamata la pianta è indaco, dal latino indicum, cioè indiano, con chiaro riferimento al paese di origine, l’India. Tuttavia, è divenuto uso comune il termine Indigo o Hennè Nero. L’impiego dell’indigo nella colorazione delle fibre naturali ha origini antichissime: i nostri antenati europei del Neolitico conoscevano già questa tintura dei toni bluastri. Mentre in Egitto durante il periodo dei faraoni il colore blu si ricavava dal guado (Isatis tinctoria). Tale arte tintoria si diffuse poi in Grecia e in Italia, dove i Romani svilupparono intensamente la coltura dell’Isatis tinctoria. È interessante il fatto che già presso i Greci e i Romani era noto che nei paesi dell’Estremo Oriente esisteva una tintura blu molto potente: l’indicum o indikon, chiamato anche blu delle indie o indaco. La cosa sorprendente, sconosciuta a quei tempi, è che le due tinture, indaco e guado, benché ricavate da piante diverse, permettevano di ottenere lo stesso principio tintorio, l’indaco o indigotina. Nel corso del XVII secolo, con l’introduzione dell’Indigofera, l’industria del guado entrò in crisi perché l’indigo si dimostrò essere economicamente più conveniente. 
La polvere di Indigofera è ampiamente utilizzata per la colorazione dei capelli al fine di ottenere tonalità scure o brune. L’utilizzo dell’hennè nero su capelli castano scuro o bruni porta gradualmente a toni color melanzana, ottenendo così un effetto scurente e brillante sull’intera capigliatura. In presenza di molti capelli bianchi essi tenderanno ad assumere riflessi verdi-azzurri poco gradevoli. Per evitare lo spiacevole riflesso verde-bluastro è caldamente consigliato il doppio passaggio: 

  • una prima applicazione di hennè rosso (per circa 30 minuti), per garantire una pre-mordenzatura dei bianchi indirizzandoli verso toni ramati;
  • una seconda applicazione successiva di hennè nero.

Mallo di Noce

Oriundo dell’Asia occidentale e forse anche della Grecia settentrionale, il noce è un albero alto dai 10 ai 25 m, largamente diffuso e coltivato in tutta l’Europa centrale e meridionale sin dall’antichità. Il frutto ha un mesocarpo verde, il mallo, e un endocarpo legnoso, il guscio. Il nome Juglans regia risale all’antica Roma ed è legato alle parole Jupiter e Jovis, cioè a Giove, il padre degli Dei, e alla sua regalità nei confronti di tutte le altre divinità. Nei secoli XVI e XVII il frutto, a causa della sua forma interna simile a quella di un cervello, assunse grande importanza come rimedio medicinale tra i seguaci della “Dottrina dei segni”. Il noce è anche una pianta tradizionalmente usata per tingere, e le parti che sono utilizzate per questo scopo sono il mallo e le foglie. Il potere tintorio si deve allo juglone che si trova in proporzioni variabili in tutta la pianta. La tintura di lana, seta e cotone con il mallo riusciva a conferire a queste fibre una colorazione molto resistente, ma richiedeva un procedimento lungo e laborioso. I malli verdi venivano posti a fermentare in poca acqua anche per un anno, fino ad ottenere un bagno di colore bruno. Poi, nel mallo fermentato, filtrato ed opportunamente diluito, venivano tinte le fibre per un’ora a 80°C. In questo modo era possibile ottenere varie tonalità di marrone. 
L’applicazione per circa un’ora di una pastella di polvere di mallo di noce e acqua calda conferisce alla lana un colore marrone chiaro, mentre al capello riesce a dare solo una debole riflessatura. La miscela della polvere di mallo di noce con quelle di hennè rosso e hennè nero porta a colorazioni giallo-brunite, la cui applicazione ripetuta nel tempo porta a tonalità castagna o castano/brune a seconda del colore di fondo e della percentuale di bianchi presenti.

Rabarbaro

Il rabarbaro cinese o Rheum officinale è originario della Cina e del Tibet, cresce allo stato spontaneo ma, visto il largo uso, viene soprattutto coltivato. Il suo aspetto è simile a quello del nostro rabarbaro rapontico, o Rheum rhaponticum, anch’esso originario dell’Asia centrale. Di entrambe le specie si utilizza il rizoma, che viene prelevato in primavera o autunno da piante di 6-10 anni. 
Con le foglie si ottengono gialli mediamente resistenti, mentre con il rizoma si hanno arancioni più o meno scuri, solidi alla luce e al lavaggio. I rabarbari sono la principale fonte di tinture gialle e arancio utilizzate per colorare tessuti e tappeti in Tibet. La polvere della radice di rabarbaro cinese è in grado di tingere anche i capelli e dona a quelli biondi e castano chiari riflessi dorati intensi. Poiché le sue capacità tintorie sono notevoli, è consigliabile utilizzarlo in miscela con altre piante anche non coloranti, capaci invece di donare morbidezza e lucentezza al capello. La Miscela Camomilla studiata per i toni chiari/biondi è ottenuta aggiungendo al rabarbaro le polveri di camomilla, cassia obovata, ed anche una piccola quantità di hennè rosso. Dona una sfumatura naturale ai capelli biondi e può portare a un riflesso, più o meno deciso, sia su capelli biondo scuri che castano chiari; si utilizza su meches o colpi di sole ormai opachi, ottenendo delle ottime nuances naturali e rivitalizzando le tonalità dorate.

Robbia

Il nome latino di questa pianta significa “rosso dei tintori” e rimanda immediatamente all’utilizzo che un tempo di essa veniva fatto come colorante. È una pianta perenne, sempreverde, che può raggiungere un metro di altezza e che cresce spontaneamente in tutto l’Oriente. La parte utilizzata a scopo tintorio è la radice. Oggi questa pianta non è quasi più usata per tingere, ma le sue radici si trovano ancora nei mercati orientali e sono utilizzate come materiale per lavori artigianali. La radice di robbia contiene numerosi pigmenti, il più importante dei quali è l’alizarina. Il colore che si ottiene è un rosso ruggine, la cui intensità dipende da diversi fattori: dalla concentrazione del bagno, dalla durata dell’immersione della fibra da colorare, dall’invecchiamento della radice e dal suo contenuto di tannini. I rossi storicamente più famosi sono quelli che gli artigiani orientali riuscivano ad ottenere sul cotone, chiamati rosso turco e rosso delle Indie, il cui segreto stava nel lungo trattamento cui il tessuto veniva sottoposto prima della tintura, per fargli assorbire il massimo del principio colorante. La robbia, conosciuta fin dai tempi più remoti, è stata ritrovata sulle bende di lino nelle tombe della valle del Nilo, ed è nominata nelle scritture sumere e nella Bibbia. Era nota e apprezzata in tutto l’Oriente, dove l’India detenne fino al XVII secolo il monopolio mondiale per la tintura del cotone con questa pianta. L’utilizzo della polvere di Robbia Tintoria per colorare i capelli è poco noto, ma i risultati ottenibili possono essere esaltanti; soprattutto se i trattamenti riflessanti sono indirizzati verso capelli castano-chiari, biondi, biondo-scuri, anche con colpi di sole ormai senza vivacità. La sua tonalità rosa-albicocca, in opportuna miscelazione con erbe dal pigmento giallo e con il ramato dell’hennè, dona alle capigliature sopra descritte nuances dai riflessi “cognac”.

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