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Ad oggi sta assumendo sempre più importanza la cosiddetta “economia circolare”, un modello di produzione che prevede il riutilizzo o riciclo dei materiali, con l’obiettivo di minimizzare lo spreco e allungare il più possibile il ciclo di vita di un prodotto.
Gli scarti prodotti ogni anno sono tantissimi e il riciclo sta naturalmente prendendo sempre più piede. Ma non ne esiste una sola tipologia: possiamo parlare di recycling, downcycling e upcycling.
Nel recycling classico il materiale di partenza viene trasformato in qualcosa di pari valore (ad esempio la plastica utilizzata per fare altra plastica).
Con il downcycling si ottiene un prodotto di valore inferiore rispetto al materiale di partenza (come il biogas).
L’upcycling è la tecnica più innovativa di riciclo, poiché consente di trasformare gli scarti in materiali di valore maggiore rispetto a quelli di partenza.
Il primo esperimento di upcycling risale al 1963 da parte della Heineken. La famosa azienda produttrice di birra, per non sprecare il vetro delle tantissime bottiglie vendute, lancia la campagna Wobo finalizzata alla conversione delle bottiglie in mattoni di vetro utili nell’edilizia. L’intuizione del fondatore dell’azienda Alfred Heineken, insieme all’architetto John Habraken, anticipa di molto i tempi; forse troppo, perché la campagna non riscontra grande successo.
Si deve arrivare al 1994 per vedere coniato il termine upcycling che utilizziamo tutt’oggi. Lo fa un ingegnere tedesco, Reiner Pilz, che in un’intervista parla del riciclo dicendo: “Il riciclo io lo chiamo downcycling. Quello che ci serve è l’upcycling, grazie al quale ai vecchi prodotti viene dato un valore maggiore, e non minore”.
Da allora per upcycling si intende proprio questo: riutilizzare oggetti o materiali per creare un prodotto diverso e di maggiore qualità.
A dire il vero inizialmente il commento di Pilz non suscita gran clamore e il termine upcycling rimane in sordina. Diventa di uso più comune dopo la pubblicazione nel 2002 del libro Cradle to Cradle: Remaking the Way We Make Things, dove l’architetto statunitense William McDonough e il chimico tedesco Michael Braungart parlano di riciclo creativo e di allungamento del ciclo di vita del prodotto, cercando di valorizzare i materiali di scarto.
Ad oggi questa tecnica di riciclo è diffusa soprattutto nel mondo della moda e dell’artigianato, ma ci sono ottime prospettive anche per il settore cosmetico.
Dagli scarti della filiera agro-alimentare, infatti, si possono ottenere ad esempio composti bioattivi, enzimi e sostanze attive utilissime nel settore beauty, anche perché molto performanti.
Gli scarti a disposizione sono moltissimi poiché ogni giorno nel mondo se ne producono tonnellate.
Ad esempio la frutta, a seguito del processo di produzione di bevande, genera un volume enorme di rifiuti sotto forma di polpa, buccia, semi e gambo. Molto spesso tali scarti contengono quantità molto più elevate di preziosi composti bioattivi rispetto ai succhi di frutta stessi.
Lo stesso avviene con verdura e frutta secca.
Sprecarli sarebbe un vero peccato! Per questo pian piano la cosmetica si sta avvicinando a materie prime create grazie a processi di upcycling, così da avere degli ingredienti non solo sostenibili, ma perfettamente biocompatibili e molto efficaci sul piano dei risultati.
Un esempio di questo processo è l’utilizzo nella nuova Linea Baby del fermentato bioattivo di Manna, ottenuto dalla fermentazione della Manna ricavata dalla raschiatura dei frassini delle Madonie.
Questa materia prima ha in sé straordinarie proprietà idratanti e protettive ed è perfetta in prodotti sia per il corpo che per i capelli.
Proprio grazie alla sua efficacia e delicatezza è stata scelta, insieme all’Avena, come ingrediente portante della nuova linea Phitofilos dedicata ai più piccoli.
Un altro perfetto esempio di upcycling riguarda il materiale con cui è stata realizzata la scatola del Face Mask Set Phitofilos.
Non si tratta, infatti, di semplice carta riciclata e riciclabile, ma di una particolare carta ecologica realizzata con gli scarti della lavorazione agro-industriale del mais.
Così facendo viene dato nuovo valore a un rifiuto industriale che sarebbe altrimenti finito in discarica, contribuendo inoltre a ridurre la carbon footprint di oltre il 20%.
Unire sostenibilità e funzionalità è certamente uno dei più grandi e nobili obiettivi della cosmetica e quella dell’upcycling è senz’altro la strada giusta da percorrere.
Uniti possiamo essere il cambiamento che vogliamo!